Il delitto di atti persecutori (stalking), di cui all’art. 612 bis, primo comma, del codice penale, secondo cui
“ Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”,
è, nell’immaginario collettivo, riferito a quei partner, ex partner o corteggiatori respinti che, non sopportando la fine di una relazione o il rifiuto della corteggiata o del corteggiato, pongono in essere condotte che rientrano nel campo di applicazione di questa fattispecie del codice penale.
Stalking occupazionale
Tuttavia, varie sentenze dei Tribunali di merito e della Corte di Cassazione hanno reso palese che il reato di stalking non è confinato a problematiche concernenti le relazioni sentimentali.
Un esempio di ciò è un recente pronunciamento della Suprema Corte che, con la sentenza n. 128 del 2022, ha statuito che anche la condotta di mobbing posta in essere dal datore di lavoro nei confronti di un proprio dipendente può configurare in alcuni casi il delitto di stalking .
Prima di analizzare quest’importante arresto giurisprudenziale, occorre fare un ‘passo indietro’ e spiegare in cosa consistono le condotte vietate dall’art. 612 bis c.p. e cosa si intende per mobbing.
Il delitto di atti persecutori
Il delitto di atti persecutori (stalking) si caratterizza per la ripetizione (reiterazione), per almeno una volta, di condotte di minaccia o violenza purché tali episodi siano connessi tra loro da un contesto unitario, altrimenti, se ad esempio, la minaccia è isolata, il comportamento di colui il quale minaccia un’altra persona configurerà il diverso delitto di minaccia, contemplato dall’art. 612 c.p. .
Per la configurazione dello stalking, inoltre, è necessario che i comportamenti minacciosi o violenti devono cagionare almeno uno dei seguenti eventi alternativi:
- perdurante e grave stato d’ansia o paura della vittima (soggetto passivo del reato);
- che quest’ultima abbia il fondato timore per la propria incolumità o per quella di una persona con la quale è legata affettivamente;
- che il soggetto passivo del reato, a causa delle reiterate minacce o violenze, sia stata costretta a cambiare le proprie abitudini di vita.
Pertanto, si tratta di un reato di evento che richiede, oltre le condotte ripetute nel tempo di minacce o violenza, almeno uno degli eventi sopra detti quale conseguenza del comportamento dello stalker (soggetto attivo del delitto in questione).
Cos’è il mobbing?
Per quanto riguarda il mobbing, invece, si tratta di una serie di condotte protratte nel tempo, poste in essere dal datore di lavoro o dai colleghi del prestatore di lavoro, finalizzate alla persecuzione ed emarginazione sul luogo di lavoro del dipendente.
Esaustiva è la definizione di mobbing datane dalla Cassazione civile, sez. lavoro, nella sentenza n. 18093 del 2013:
“integra la nozione di mobbing la condotta del datore di lavoro (o di colleghi) protratta nel tempo e consistente nel compimento di una pluralità di atti (giuridici o meramente materiali, ed, eventualmente, anche leciti, diretti alla persecuzione od emarginazione del dipendente, di cui viene lesa la sfera professionale o personale, intesa nella pluralità delle sue espressioni (sessuale, morale, psicologica o fisica)” .
Il mobbing come illecito civile
Orbene, il mobbing non è contemplato come reato da alcuna norma del codice penale o da altra fattispecie incriminatrice contemplata da altre disposizioni di legge extra codicistiche, ma è una figura di creazione giurisprudenziale, configurante un illecito civile, che da luogo al diritto del lavoratore al risarcimento dei danni subiti, patrimoniali e non patrimoniali, in base all’art. 2087 del codice civile, se la condotta vessatoria è posta in essere dal datore di lavoro, che impone a quest’ultimo di adottare tutte le misure idonee a tutelare l’integrità fisica e morale del restatore di lavoro, o in base all’art. 2043 del codice civile, se il mobbing viene posto in essere dai colleghi o dal superiore gerarchico del lavoratore, in base al principio generale del neminem ledere.
Pur non essendoci una fattispecie incriminatrice che preveda il mobbing quale reato, la giurisprudenza penale della Corte di Cassazione e dei vari Tribunali di merito, ha ricondotto alcuni dei comportamenti posti in essere dai soggetti che pongono in essere condotte di mobbing nell’ambito di fattispecie criminose, cioè di norme incriminatrici previste dal codice
penale a tutela dell’onore, della dignità, dell’incolumità e della libertà fisica e morale delle persone.
Tra le norme incriminatrici, nel cui ambito di applicazione la giurisprudenza di merito e di legittimità fa rientrare alcuni comportamenti ‘mobbizanti’, vi è il reato di stalking, di cui all’art. 612 bis del codice penale.
Il delitto di stalking
Coerente con questo orientamento giurisprudenziale, si colloca la recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 128 del 2022, che ha sancito che configura il delitto di stalking
“la condotta del datore di lavoro che ponga in essere una mirata reiterazione di plurimi atteggiamenti convergenti nell’esprimere ostilità nei confronti del lavoratore dipendente e preordinati alla sua mortificazione ed isolamento nell’ambiente di lavoro, che ben possono essere rappresentati dall’abuso di potere disciplinare culminante in licenziamenti ritorsivi, tali da determinare un vulnus alla libera autodeterminazione della vittima, così realizzando uno degli eventi alternativi previsti dall’art. 612 bis del codice penale” .
Conclusioni
Pertanto, il delitto di atti persecutori, così come configurato dal nostro legislatore, ha un amplia portata applicativa, teso ad incidere nei rapporti umani, quando questi si connotano di reiterate minacce e violenze non necessariamente sorte nell’ambito di relazioni sentimentali, ma anche nell’ambito lavorativo, così come ad esempio anche nei rapporti tra condomini e, come è facile immaginare, l’art. 612 bis c.p. trova applicazione anche per taluni comportamenti posti in essere sui cosiddetti social: basti pensare alle reiterate minacce o insulti che possono essere rivolti ad un utente sulle chat da parte di altri soggetti, condotte, quest’ultime, divenute frequenti tra gli adolescenti.
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